Lo scorso sabato, 3 dicembre, presso lo Spazio Pep Marchegiani a Pescara, si è tenuta la seconda edizione del Toyo Mon Amour.
Questo progetto/evento, nato da una idea di Luca Di Francescantonio, ha come scopo lo stimolare una discussione sullo stato dell’arte e della creatività oggi in una città come Pescara. Questa città, che in passato è stata fucina di grandi artisti e creativi, vive, negli ultimi decenni, con difficoltà il proprio rapporto con la cultura artistica e progettuale in genere. Questa difficoltà da cosa dipende? Perché i creativi, oggi, per poter essere conosciuti o anche solo ascoltati o avere spazi adatti alle loro esposizioni, devono schierarsi per forza sotto qualche bandiera?

Iniziamo da principio.
Il Toyo Mon Amour, come dicevo, nacque da un’idea del caro Luca che, grazie alla Enviconcept ed a mentelocale, mise insieme più creativi (artisti, designer, fotografi e chiunque avesse qualcosa da dire sul tema) allo scopo di allestire una mostra di opere ironiche che usassero l’incidente/immagine della rottura dello Huge Wine Glass come spunto per ragionare sullo stato dell’arte contemporanea e su come questa si relazioni con la città. Reperire uno spazio, nella prima edizione, fu veramente difficile; nessuno voleva essere coinvolto in qualcosa che poteva risultare scomodo a qualche schieramento politico. Chiedemmo di poter usare lo Urban Center (location ottima per la discussione) ma ci fu gentilmente negato per i suddetti motivi. Girammo e cercammo altri spazi che non furono disponibili per noi, finché dei privati (che ringraziamo) ci ospitarono nei loro spazi. L’evento ottenne notevole eco e riuscimmo, senza scomodare nessuno, a creare un minimo di discussione che ebbe spazio sui quotidiani e sulle riviste dimostrando la necessità di un confronto a riguardo.
Nella seconda edizione siamo partiti subito scegliendo uno spazio privato in cui esporre, invitando anche nuovi aderenti alla “confraternita dei calici infranti”, allo scopo di non incontrare, di nuovo, gli stessi problemi della versione precedente.
Questa nuova edizione ha dato, inoltre, la possibilità ad alcuni artisti di presentare alcune loro performances, esplorando, così, altri livelli di espressione dell’arte. Da Nicola Antonelli, al Collettivo Mammhut, passando per Erica Abelardo e Alessandra Galloppa, si è sviluppato un percorso attraverso espressioni e sensibilità diverse e ciascuna affascinante e costruttiva.
Anche questa edizione, al pari della prima, ha avuto come elemento centrale il dibattito sul tema che, malgrado le nostre precisazioni e la manifestazione delle nostre volontà apolitiche di analisi culturale dello stato dell’arte contemporanea e della progettazione e creatività nell’ambito pescarese, ha comunque puntato troppo sulla politica e ha manifestato ulteriormente, se fosse stato necessario, l’incapacità delle istituzioni di approcciare in maniera innovativa alla questione che ci proponevamo di sottoporgli. Questo non per essere critici a tutti i costi, ma quello a cui si è assistito è stato il solito “dibattito unidirezionale” cui siamo stati abituati dalla troppa televisione. Non che non ci sia stata la possibilità di intervenire qualora qualcuno avesse voluto ma, più semplicemente, la comunicazione dei relatori era impostata in maniera tale da porsi in una posizione che non permettesse interlocuzione, cercando di parlare di workshop e reti di creativi senza sapere che, di fronte a loro, c’erano persone che quei workshop li avevano organizzati, sostenuti e resi importanti (penso all’architetto Bellisario organizzatore di Glocal HandMade che esponeva insieme a noi con gli Zo_Loft). La posizione di queste istituzioni, insomma, è limitata a visioni che sono già utilizzate altrove ma che, nella nostra realtà, non trovano appoggi senza che ci si schieri sotto un gagliardetto. Ma il Toyo Mon Amour non può, nessuno può metterci il cappello sopra, questa è una open source e tutti devono e possono farne parte, non ci importa se siano architetti o ingegneri, creativi o logici, artisti o poeti, di destra o di sinistra, alieni o umani, quello che ci interessa è che ascoltino per capire e non per sentenziare in maniera sterile.