Written by 12:45 Architettura, Interior Design

Abitare un’idea

In principio fu l’INA Casa: migliaia di italiani avevano perso la casa a causa della guerra, molti di loro stavano lasciando le campagne per andare a vivere in città, la disoccupazione dilagava e gli architetti erano alla ricerca di una nuova identità oltre il fascismo.

In principio fu l’INA Casa: migliaia di italiani avevano perso la casa a causa della guerra, molti di loro stavano lasciando le campagne per andare a vivere in città, la disoccupazione dilagava e gli architetti erano alla ricerca di una nuova identità oltre il fascismo.

Furono queste le premesse dell’epico piano Fanfani, motore della ricostruzione post-bellica e origine dei problemi che affliggono tutt’oggi le periferie italiane: se da un lato i nuovi alloggi diedero a molte famiglie delle case dignitose in cui vivere, dall’altro lato la mancata realizzazione dei servizi e delle infrastrutture fu la causa del fallimento, dal punto di vista sociale, di quei quartieri progettati con le migliori intenzioni. Il dibattito sulla questione dell’alloggio sociale nel nostro paese è riapparso ufficialmente, dopo anni di oblio, nel 2008 in occasione della XI Biennale di Venezia con la mostra Housign Italy/L’Italia Cerca Casa curata da Francesco Garofalo nel Padiglione Italia. Oggi, infatti, il problema della casa e, di conseguenza, dello sviluppo della città, ha come protagonista la famosa “fascia grigia” composta da coloro che non sono né così indigenti da poter accedere alle case popolari, né abbastanza facoltosi da potersi permettere un mutuo, senza contare l’esercito di studenti fuori sede, immigrati, anziani, single, che vedono erodere i loro piccoli risparmi da affitti saliti alle stelle e completamente fuori dal controllo dei comuni. Le proporzioni del disagio abitativo stanno toccando, con il peggioramento della crisi economica, livelli allarmanti ma parallelamente si stanno diffondendo iniziative basate sui concetti di condivisione e sostenibilità ambientale che fanno ben sperare.

Si tratta di progetti che vedono coinvolti semplici cittadini, banche etiche, associazioni, architetti e amministrazioni e che, attraverso il recupero di edifici abbandonati o inutilizzati, riescono ad interpretare le esigenze di una società che vuole costruirsi come interculturale, equa e solidale. Come ad esempio il progetto Sharing Ivrea 24, coordinato dall’arch. Manuel Petacchiola, che ha trasformato un immobile fatiscente di Torino in una casa sociale con un ventaglio di soluzioni per diverse categorie di utenti a seconda delle loro necessità (dalla formula housing relativa ad un periodo minimo di 12 mesi a quella residence di minimo 14 giorni), ma soprattutto dotata di una serie di servizi (banca del tempo, centro di mediazione, attività commerciali a prezzi contenuti, attività socio-culturali) indispensabili a creare il senso di comunità. Fortunatamente non si tratta di un caso isolato, sono moltissimi i progetti di autocostruzione, co-housing ed altre soluzioni ibride che si stanno diffondendo nel nostro paese e che, nonostante il ritardo rispetto al Nord Europa, possano proliferare e contribuire ad uscire dalla crisi.

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