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Per una lettura fenomenologica del catalogo “Vie dell’esilio” di Jörg Christoph Grünert

di Ezio Sciarra

Il mio apprezzamento per la produzione artistica di Jörg ora condensata nel catalogo dell’ultima mostra allestita presso l’Ex-Aurum di Pescara, mi consente una prospettiva interpretativa che per comodità espositiva posso distinguere in sette filoni.

Un primo itinerario può essere individuato nelle opere inserite nella sezione “Less is more” che si sviluppa nelle pagine 14-20 e poi fino a 27 per essere ripreso anche nelle pagine 38-47, in cui Jörg rappresenta icastiche impressioni del dramma del nostro tempo costituito dalla corruzione impressa sul vivente umano e naturale come violenza, alterazione, deformazione.
Il fruitore è esposto ad una sorta di disagio che lo colpisce per la mostruosità espressionista delle forme, in cui tuttavia si avverte che l’artista non è orientato da una estetica delle emozioni forzanti, ma da una propria modalità di un sentire realistico, tanto realistico quanto si affida ad un linguaggio espressionista della sua formazione nelle radici della cultura tedesca. Jörg non comunica il dramma del nostro tempo attraverso l’astrattezza scientifica che fa intravedere nelle deviazioni della scienza e della tecnica la mostruosità in sé, rivelando uno schematismo della consunzione naturale stessa che si cela come mappa iper realista del vivente. Quello che si vuole esibire è invece la mostruosità creata sulle forme del vivente dalla violenza umana del nostro tempo, un tempo sociale dell’alterazione sistematica violentante che produce le eccedenze deviate della natura.

Un secondo filone che si sviluppa nelle pagine 28-37 prosegue il messaggio ispirativo, seppure come proposta rispetto alla critica effettuata. Si tratta di costruzioni polimateriche in una dimensione espressiva più astratto-concettuale, rappresentata da installazioni di materiali semplici e bruti, – prevalentemente pietra, ferro, ma anche vetro, carta, stoffa, feltro, – in cui l’operatività artistica vuole mostrare un intervento minimo per combinatorie semplici. Jörg mostra così il messaggio esplicito del “Less is more” in quanto messaggio di proposta per la riduzione della superbia e della tracotanza tecnologica del nostro tempo che attraverso costruzioni e installazioni “mega” violentano gli equilibri del vivente umano e naturale. Un invito alla semplicità, alla minimalità e umiltà dell’intervento costruttivista, contro la tendenza alla applicazione ipertrofica e prometeica di una tecnologia che forza tutti i confini, producendo i guasti e le lacerazioni presentate nel precedente filone. Dalla critica alla proposta dunque in un modo stilisticamente interconnesso. Non a caso il contesto entro cui si collocano queste installazioni semplici e minimali, è quello di espressioni di una residualità sopravvissuta alla decadenza di imponenti installazioni dell’età industriale, quasi segnali periferici della corrosione e dell’abbandono in una grande periferia di un’archeologia industriale, che conserva appena la traccia della pretesa magnificenza di una precedente età ormai decaduta.

Un terzo centro di letture fenomenologiche di cui rilevare il senso appare dalle pagine 48 – 49, in cui tutti i messaggi dei due precedenti filoni vengono tradotti in un simbolismo meta-comunicativo, in cui si manifesta una grammatica logico-formale, ma anche concettuale e filosofica del paradosso, della non coincidenza tra grammatica e discorso, tra segno e denotato, tra parola e realtà, in breve una ulteriore denuncia della distorsione formalizzante dell’età tecnocratica che pretende di esprimere nei simboli informatici e logico-matematici la ricchezza inesauribile di un vivente che non può essere mai ridotto e imprigionato nella schematizzazione delle stesse grammatiche che pretendono di imprigionarlo. Significativo al riguardo il passaggio registrato con una scrittura esplicita del linguaggio filosofico del cartesianesimo, in cui si allude al cogito ergo sum, contrapposto alla corporeità vivente del sentire che traduce quella formula nella rivalutazione esistenziale e senziente dell’organicità vivente. Sulle forme geometriche ma esteticamente trasfigurate in percezioni coloristiche, soft, raffinate, si leggano esplicitamente come un messaggio diretto al lettore, al fruitore, formule anti-cartesiane di segno sensistico-esistenziale: sum ergo cogito; cogito ergo sentio; sentio ergo sum. Un manifesto filosofico da Condillac a Sartre contro Cartesio, nello spirito dell’organicità vivente di Schelling, padre dell’identità psico-fisica della cultura tedesca in cui è immersa la formulazione di Jörg.

Nel quarto filone denominato “meditando in materia” che va dalle pagine 50 a 71, l’artista esplora le proprietà intime dei materiali su cui si esercita (pietra, legno, ferro), in cui le superfici, gli incavi, le fessure, le frastagliature, i vuoti nelle masse, indicano da un lato l’esercizio di una sensibilità tattile e visiva sulle proprietà interiori, inesplorate e gradevoli dell’intimità della materia, e dall’altro, la valenza simbolica di luoghi di accoglienza, nidi di fecondazione, varchi entro cui è possibile coltivare il ritrovamento del silenzio, della riflessione del tempo goduto e non disperso, contro il frastuono di superficie e senza scopo del nostro tempo accelerato, convulso e alienante.

Un quinto filone dalle pagine 72 a 75 evidenzia una stesura coloristica di materiali vari (polveri, inchiostro, oro, argento, matita) su tela e legno telato, dalle forti caratterizzazioni di vivezza su cui prevalgono le terre rosse, nere e gialle che sembrano metterci al cospetto dell’organicità vivente nei suoi elementi di base, nel luogo di connessione tra organico e inorganico, tra creazione originaria e costruzione della prima organizzazione. Il tutto si muove in una grande capacità compositiva estetico-coloristica della ricchezza creativa del vivente, quando è ancora incorrotto e non violentato.

C’è un sesto momento da pagina 76 a 81, sotto la voce “segni” in cui l’artista esprime la propria recezione di stilemi emblematici entro cui si riconosce, nei classici dell’arte, nella propria ricerca interiore. Da un lato ad esempio la propria suggestione su Leonardo, come per altro verso la ricerca di un baricentro proprio. Si tratta di forme che ritornano con stilemi che alternano il geometrico e l’organico in una gradevolezza cromatica di grande equilibrio, sobrietà ed eleganza espressiva, quale deve essere la correlazione latente e armonica tra natura e vita, tra oggetto e soggetto.

Nel settimo filone che va da pagina 82 a 89, l’artista utilizza vari materiali con accostamenti compositivi che rispettano e assecondano compatibilità coloristiche e materiche in modo da costruire realtà emergenti diverse dall’organicità antropica o naturale, ma che ne rispettano i limiti, gli equilibri, la gradevolezza estetica. In tal modo l’artista mostra la possibilità di una creatività che non violenta i limiti organici né formalizza astrattamente schemi logici della natura, ma che aggiunge poeticamente alla natura esistente attraverso la mediazione di una creatività compositiva e costruttiva di forme organiche come prosecuzione dell’organicità e dalla proprietà dei materiali da cui provengono. è come se l’artista volesse mostrare che dopo le de-strutturazioni violente dell’età tecno-formale, c’è ancora spazio per una creatività artistica che sviluppa le forme naturali ma rispettandone i limiti. 

La parte finale nelle pagine 90-95, si ricollega al secondo filone per la ripresa di una composizione come intervento minimale non lesivo e rispettoso dei limiti naturali, come critica del gigantismo e dell’eccesso violentante della tecno-architettura ipertrofica. Nella chiusa si rilegge il messaggio estetico di Jörg Christoph Grünert.

Pescara 31 gennaio 2009

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