Articolo scritto per il progetto riAMA organizzato dalla fondazione “Amici per Castelbasso” in collaborazione con l’Università Europea del Design di Pescara.
Per capire cosa fare nel futuro spesso è utile ricordare il passato.
A volte, l’eccessiva attenzione all’oggi ci distoglie dal bagaglio di storia e di cultura che abbiamo alle spalle, quella storia e quella cultura che hanno fatto, della nostra nazione, riferimento mondiale per il design.
Il famoso design “Made in Italy” nacque grazie ad un periodo di grande crisi, nel dopoguerra, quando artigiani, imprenditori ed operai, si ritrovarono in un paese impoverito e distrutto. Dopo essersi rimboccati le maniche per riparare agli enormi danni del conflitto mondiale, le imprese italiane (piccole medie e micro imprese, cioè artigiani) si interrogarono sul tipo di prodotti da realizzare, in modo da poter essere riconosciuti come prodotti italiani. Per raggiungere questo scopo coinvolsero giovani progettisti in modo che una nuova cultura del prodotto potesse nascere.
Quindi, grazie a questi imprenditori lungimiranti, ai progettisti innovativi e volti alla ricerca e agli artigiani pronti a confrontarsi con loro, nacque il “buon design” o design “Made in Italy”.
Oggi si sente parlare spesso, a volte troppo, del “Made in Italy” attribuendo questo plus-valore a prodotti che, obiettivamente, da questo concetto sono più che distanti, perché prodotti non provenienti dall’Italia, ne culturalmente ne fisicamente. Nella maggior parte dei casi sono prodotti che seguono indicazioni globali e che non permettono alla cultura di una nazione di potersi manifestare attraverso loro; pena la non riproducibilità a livello globale. Questo è il motivo delle standardizzazioni delle produzioni che ci porta a vedere prodotti quasi sempre stilisticamente e culturalmente uguali o estremamente simili. La situazione che si è generata, dunque, è una omologazione dei prodotti volti alla loro riproducibilità globale, aprendo agli imprenditori la possibilità di sfruttare mercati del lavoro più conveniente.
Al di la della mia distanza da questo approccio, che non critico in quanto scelta plausibile, critico molto l’utilizzo improprio del marchio “Made in Italy” da parte di chi, invece, ha fatto dello sfruttamento globale il proprio obiettivo.
Il marchio “Made in Italy” dovrebbe essere protetto da queste devianze che non fanno altro che affossare il valore del marchio stesso, sminuendolo culturalmente e materialmente.
Il progetto R.I.A.M.A. (come il progetto deZign a km0 del nostro studio, il deZign Studio, e vari altri progetti in cui è coinvolta l’Università Europea del Design di Pescara) ha come elemento più stimolante proprio questa volontà di riappropriarsi del valore del progetto fatto in Italia e del prodotto fatto in Italia, addirittura legando questo progetto ad un territorio ancor più ristretto, l’Abruzzo, in modo da provare a rivitalizzare quel tessuto di PMI ed artigiani che, da sempre, sono l’ossatura portante dell’economia italiana e che, purtroppo, sono le realtà meno protette dall’incombenza della crisi che viviamo.
La possibilità data ai progettisti ed agli artigiani è una ottima opportunità per sperimentare nuovi progetti, nuovi metodi e nuove idee che siano utili a far risvegliare il tessuto economico locale dandogli, però, una visibilità globale grazie all’uso della rete internet come mezzo di comunicazione. Questo doppio livello di lavoro permette di approcciare ad un concetto, relativamente nuovo, definito dal termine “glocalizzazione” cioè una opportunità al “locale” di avere un media “globale”. Questa opportunità, volendola sfruttare al meglio, diventa davvero fruttifera quando il prodotto ha due caratteristiche fondamentali: l’innovazione ed il legame con il territorio di provenienza. La prima caratteristica è delegata ai progettisti, i quali dovranno acquisire le capacità di lavorazione degli artigiani e delle PMI, in modo da poterle utilizzare in modo nuovo, studiando linguaggi, lavorazioni o produzioni; la seconda fa parte del bagaglio culturale dell’artigiano e della PMI. Questo bagaglio culturale, purtroppo, rischia di andare perduto per via del continuo abbandono di questi mestieri da parte delle giovani generazioni, della miopia di politiche industriali concentrate sulle grandi aziende (in Italia davvero poche rispetto alle PMI) e, a volte, per la chiusura all’innovazione di cui alcune artigianalità soffrono.
Riattivare questo corto circuito tra progettisti e PMI ed artigiani, attraverso questi progetti o, ancor meglio, attraverso strutture che facciano ricerca sul territorio (come l’Università Europea del Design di Pescara), crediamo sia l’unico modo per poter pensare di superare questa crisi senza dover svendere tutta la nostra cultura e le nostre capacità produttive: dalla quantità dobbiamo tornare alla qualità del prodotto e dal globale dobbiamo tornare ad interessarci delle realtà locali, questa credo sia la lezione che ci insegnarono gli italiani che ricostruirono il nostro paese e gli diedero lustro grazie all’intelligenza ed alla cultura che misero dentro ad ogni singolo progetto fino a far diventare, i prodotti italiani, icone mondiali del Design.
Per far questo abbiamo sempre più bisogno di progetti che ridano linfa vitale alle artigianalità presenti sui diversi territori, di finanziamenti per le strutture di ricerca che supportino tutti gli artigiani e le PMI e, infine ma non ultima, una politica industriale innovativa per il nostro paese, capace di stimolare e coadiuvare il grande tesoro di cultura e produttività rappresentato dalle PMI e dagli artigiani stessi.